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La caducità dell’umana esistenza, rappresentata dall’eclettico scultore verista Giovanni Maltese con il gruppo in gesso “Il naufragio di Agrippina”, recentemente riprodotto in bronzo, sarà il nuovo messaggio di benvenuto.

 

La caducità dell’umana esistenza, rappresentata dall’eclettico scultore verista Giovanni Maltese con il gruppo in gesso “Il naufragio di Agrippina”, recentemente riprodotto in bronzo, sarà il nuovo messaggio di benvenuto.
A breve saranno ultimati, nonostante le emergenze occorse nel frattempo, i lavori di riqualificazione del porto di Forio, fortemente voluti dall’amministrazione comunale guidata dal Sindaco Dott. Francesco Del Deo. Al termine dei lavori, previsto per l’inizio di maggio prossimo, gli isolani e i turisti che, ci auguriamo siano veramente numerosi, potranno godere della riqualificazione ambientale della zona portuale di Forio, quella che funge da biglietto da visita per l’intera comunità all’ombra del Torrione Le opere di restauro e ammodernamento avviate poco prima della pandemia, oltre alla necessaria manutenzione e sistemazione della rete stradale fognaria di via Mariana, Via Cesare Calise, del parcheggio “della Lucciola” e dei locali sottostanti, si distingueranno per l’apposizione nel nuovo piazzale del gruppo bronzeo del Naufragio di Agrippina recentemente realizzato dall’Antica Fonderia Di Giacomo, accorsata azienda napoletana che, durante il mese di settembre 2020, ha eseguito il calco in copia conforme del gruppo in gesso custodito al Museo Civico Giovanni Maltese.
L’opera che coglie l’attimo fuggente dell’ultimo respiro di Agrippina, madre dell’imperatore Nerone, è quanto mai attuale nella concezione e raffigura la fragilità della vita umana, per cui ricorda, anche a chi si ritiene potente e immortale, di essere soggetto alle avversità e insidie che la vita stessa riserva. L’autore della scultura in gesso, Giovanni Maltese, “Verista Impenitente”, come amava definirsi, lasciandosi entusiasmare dalla storia romana che da sempre travolge gli artisti, immortala la tensione di una madre tradita dal proprio figlio Nerone e, ispirandosi alle linee plastiche del grande scultore Antonio Canova, ricava un armonico componimento. Giovanni, artista che, molto probabilmente, aveva frequentato a Parigi il Café Guerbois durante la Belle Époque e aveva vissuto i primi anni in contatto con gli impressionisti francesi, e probabilmente conosciuto Edgar Degas che aveva origini napoletane, compose la sua opera più imponente in età matura. Tra le sue elaborate lavorazioni ricordiamo “I Pidocchiosi” il cui bronzo fu commissionato dalla signora Ottilia Heyroth, vedova di un grande banchiere tedesco, il barone Antonio Wagener, e proprietaria della Mezza Torre, antica torre d’avvistamento anti-saracena a confine tra i comuni di Forio e Lacco Ameno, diventata poi lussuoso Hotel. Con il supporto della moglie Fanny Jane Fayrer, acquerellista anglosassone, sposata a Napoli nel 1901, Giovanni aveva dismesso gli abiti dell’artista ribelle e con idee più pacate realizzò il suo capolavoro. La scultura ritrae Agrippina e il suo schiavo Miseno sulla barca da pesca, dove la madre di Nerone fu tratta in salvo in seguito al naufragio della sua nave organizzato dal figlio. Solo i remi spezzati e alcune travi di legno lasciano intuire che si tratti di una barca. Il corpo di Agrippina è disteso sul fianco destro secondo una linea inclinata il cui vertice è costituito dai piedi della donna. La posizione è innaturale, ed evidenzia le linee sinuose del corpo femminile, che mostra una sensualità che alleggerisce la drammaticità della scena raffigurata. La donna, con i capelli bagnati e scarmigliati, la stola madida e aderente al corpo che rende l’effetto della trasparenza, si aggrappa con la mano sinistra al collo dello schiavo. Questi, seduto, cerca di far galleggiare il relitto, reggendo con la mano destra una trave della barca, aiutandosi con la possanza della gamba destra. Il piede di leva, il destro, il cui alluce presenta una voluta scheggiatura dell’unghia, mostra i segni dell’immane sforzo nel tentativo di mettersi in salvo. La composizione offre da ogni prospettiva una forte carica emotiva. Osservando i volti dei due personaggi, si nota tutta l’energia che lo scultore trasmette evidenziando anche i primi studi accademici sulla natura del corpo umano. La rappresentazione di ogni muscolo teso a scongiurare l’imminente tragedia è illuminante. Il volto dello schiavo è volutamente seminascosto, sia perché piegato in avanti nel tentativo di sorreggere la donna, sia perché è una figura di valore nettamente inferiore. Il viso di Agrippina, con la testa tesa all’indietro nel tentativo di tenersi sulla barca, risalta con evidenza. Ma dal gruppo di gesso nonostante la tragicità del momento traspare la compostezza dell’imperatrice. Solo le sopracciglia aggrottate e la bocca leggermente contratta tradiscono lo sgomento della donna.
Giovanni Maltese da cultore del retaggio che, dagli studi classici dell’Accademia delle belle Arti gli era stato trasmesso, conosceva bene la storia di Giulia Agrippina detta Minore. Lei fu, infatti, tra le donne più espressive e potenti della storia dell’Impero Romano. Nata nel 15 d.C. dal grande condottiero Germanico e da Agrippina Maggiore fu ambiziosa e avida di potere. La futura imperatrice fu indiscutibilmente al centro del potere in un intervallo che comprese ben quattro imperatori. Tiberio, adottato da Augusto e zio del padre; Caligola, suo fratello; Claudio, lo zio che sedusse e sposò, e infine Nerone, il figlio che ne ordinò la morte. Agrippina non ebbe una facile adolescenza. Nacque in un accampamento di guerra proprio nel corso di una battaglia. Sempre in tenera età fu costretta a sopportare violenze inaudite, a cominciare dallo sterminio della famiglia ordinato da Tiberio. A quattordici anni il fratello Caligola le impose di sposare un uomo che lei detestava, il ripugnante e vile Enobarbo, da cui ebbe Nerone. Colpevole di aver congiurato contro il fratello, fu esiliata e da quel momento, il suo unico obiettivo fu tornare in patria e acquisire, il prestigio che credeva di meritare, vista la propria discendenza. Quando Caligola fu assassinato e lo zio Claudio acclamato come nuovo imperatore, fu molto facile per lei, bella, sensuale e scaltra, conquistare le voglie dell’uomo anziano e vizioso. Agrippina non si limitò a ciò. Riuscì a denigrare Messalina, moglie legittima ma molto libertina dello zio, ne ottenne la testa e diventò la nuova moglie di Claudio. Agrippina aveva ottenuto ciò che da sempre aveva desiderato: era Imperatrice, la donna più potente e ammirata di Roma, e non aveva esitato a consumare pubblicamente un incesto per ottenere il trono tanto desiderato. Ma la sua sfrenata ambizione proseguì più ferocemente di prima, contro gli ultimi ostacoli rimasti. Chiunque mettesse in pericolo il suo futuro di gloria, doveva essere eliminato. Fece avvelenare Britannico, figlio naturale di Claudio e pertanto suo legittimo erede, e infine, l’Imperatore stesso, fu ucciso da una pozione di funghi, durante un banchetto. Il rapporto che legava Agrippina al figlio Nerone è abbastanza controverso. Erano entrambi avidi di potere e, sembra, siano stati legati persino da un rapporto incestuoso. Nella Jus romana il matricidio era, già all’epoca, un crimine orrendo. Neanche lo scellerato, violento, e crudele Nerone avrebbe mai compiuto una simile azione apertamente, sapendo di suscitare la riprovazione del mondo politico e della plebe. Ma avrebbe potuto incaricare dei sicari al suo posto, e ciò Agrippina lo immaginava. I rapporti con il figlio si erano incrinati, anche a causa della gelosia di Poppea, la nuova moglie dell’Imperatore, con cui aveva un rapporto conflittuale. Probabilmente fu proprio Poppea a indurre il marito all’orrendo delitto, per eliminare la suocera colpevole di voler comandare attraverso il ruolo del figlio. Agrippina, subodorando il misfatto, imparò a nuotare, e riuscì a salvarsi dalla nave che faceva parte della flotta del Tirreno, di stanza a Capo Miseno, naufragata per un diabolico sabotaggio, mentre la fedele, ancella Acerronia, veniva barbaramente massacrata a colpi di remi dai sicari dell’Imperatore. Nerone punì i sicari che avevano fallito e ne mandò un altro. Aniceto, un liberto divenuto prefetto della flotta di Miseno, eseguì l’ordine dell’Imperatore e, nel 62 d.C. uccise Agrippina. Con un manipolo di soldati, di cui faceva parte il trierarca Erculeio, (comandante di una nave minore) e il centurione navale Obarito, circondò la villa di Agrippina e non opponendosi alcuna resistenza entrarono nelle stanze dell’imperatrice. Agrippina riconobbe subito il liberto che era stato presso la corte di Nerone e vistasi perduta, con estrema fierezza esclamò: «Colpisci il ventre che l’ha generato». E fu trafitta. Per ricompensa e per evitare pericoli di ricatto, Nerone fece trasferire in Sardegna Aniceto, dove visse negli agi e soprattutto lontano dalla corte.
L’Associazione Culturale Radici auspica che, seguendo la scia già intrapresa con l’esposizione in piazza Medaglia d’Oro del bronzo della “Solfatrice” e con la prossima nella nuova piazza con l’insediamento del gruppo bronzeo del Naufragio di Agrippina, vengano messe in luce le opere di artisti foriani che hanno dato lustro alla “Città turrita”

Luigi Castaldi